«Abuela, raccontami la storia dei due amanti che attraversano il fiume…
Quante volte te l’ho raccontata, figlia mia.»

«Le prime luci dell’alba rischiaravano la tela bianca del tepee. Le ombre del bosco si specchiavano sulla parete del loro nido d’amore. Era tempo di alzarsi. Lei, nel ricomporre ogni parte del suo corpo che si offriva a salutare il giorno, si accorse che Lui l’aveva anticipata: aveva vinto il Sole e già stava dando da mangiare ai cavalli. Il viaggio era lungo e faticoso. Lei si affacciò all’aurora, come fa il passero sorpreso dalla brezza del mattino, come il filo d’erba percependo il peso della rugiada su si sé, come le stelle che si strofinano gli occhi davanti ai primi albori…
Lo guardava come chi, amorevolmente, osserva il riflesso di se stesso, come chi tenta di ricongiungersi con un pezzo d’anima smarrito nel cammino. Non c’era tempo per perdersi nella bellezza dell’amato, il corpo esaltato dalla luce color cobalto dell’alba. In breve, le provviste preparate la sera prima, il giaciglio, una buona quantità di legna, le coperte e le loro borse di pelle erano sul carro. Aveva pensato a tutto: non sarebbe mancato il cibo, l’acqua e i rimedi della natura in caso di bisogno. Lui, con la maestria dell’intelligenza e la pratica delle mani, legava tela e pali del tepee con una corda grossa, e con cautela le disponeva a un lato del carro per lasciare il massimo spazio all’amata e a tutte le cose che Lei aveva preparato con amore. Solo sguardi e sorrisi tra loro.
Ognuno sapeva qual era il suo compito, nessuna interferenza, nessun promemoria, nessun “non dimenticarti di”… Quando Lui terminò di legare i cavalli al carro, il viaggio iniziò. Per lunghi tratti Lui tirava il carro, mentre i cavalli si riposavano. Lei, sguardo sognante, benediceva il cammino. Non chiedeva mai: “Ti ricordi la strada, vero?”, sapeva che Lui era in grado di portarla sana e salva oltre il fiume, non aveva nessun dubbio, nessuna incertezza sul valore dell’amato, sull’innata consapevolezza, l’astuta osservazione e l’affettuosa protezione.
Si sentiva sicura, quando scorgeva nei suoi occhi la scintilla di fuoco che sosteneva la prova da superare: l’avrebbe portata oltre il fiume, insieme alle loro cose. Quel giovane guerriero sapeva che accanto e dentro di Lei avrebbe riposato nei momenti di stanchezza, che Lei lo avrebbe nutrito con amore e medicato le sue mani grazie ai balsami preparati con sapienza. Di Lei si sarebbe fidato se l’energia gli fosse mancata, era nei suoi occhi che avrebbe trovato il coraggio per andare avanti: Lei era la persona che riconosceva la sua forza e il valore di essere un uomo. Su di loro, solo il mistero aveva potere. Il cuore, il quotidiano, la parola, il gesto, erano cerimonia. 
Così si amava una volta, mi hija, figlia mia»
(tratto dal libro “Custode del Fuoco Sacro” di Alessandra Comneno)


 
										
									 
											 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									 
										
									