La realtà capovolta

In questo articolo illustro brevemente come la mitologia in cui viviamo oggi, cioè la narrazione a cui crediamo e che condiziona i nostri processi mentali, sia frutto di una radicale modifica avvenuta nel corso di millenni, in cui si è passati gradualmente da una percezione del mondo comunitaria a una piramidale. Intendo trattare, quindi, il passaggio dall’èra in cui si onorava la Dea all’epoca in cui (ancora attuale) si crede nella superiorità di uno dei due aspetti del Divino (quello maschile), avendo relegato l’altro nell’ombra dell’inconscio.

(Questo articolo è tratto dal famoso libro di Riane Eisler Il calice e la spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad oggi.)

Dea o donna dormiente, dall’ipogeo di Hal Sallieni, Paola, Malta (3600-2500 a.C.)

Le tragedie che compongono la trilogia greca dell’Orestea sono tra le più conosciute e rappresentate. L’autore della trologia è Eschilo, l’argomento tratta la stirpe degli Atridi (Agamennone e suo fratello Menelao) e il periodo in cui sono state rappresentate per la prima volta è il 485 a.C., cioè a cavallo tra la fine dell’età della Grecia arcaica e l’inizio dell’età classica.

Periodo arcaico (dalle origini al 480 a.C.)
Periodo classico (dal 480 al 323 a.C.)
Periodo ellenistico (dal 300 al 146 anno in cui la Grecia passa sotto il dominio romano)

In questo classico, il dio Apollo, durante il processo di Oreste per l’uccisione della madre, spiega che i figli non sono imparentati con le proprie madri. «Non la madre è generatrice di quello che è chiamato suo figlio» viene fatto affermare al dio. Ella è soltanto la «nutrice del germe in lei seminato».

«E ti mostrerò questo argomento», prosegue Apollo. «Può esistere un padre, anche senza madre: è presente, dinanzi a te, come testimone la figlia di Zeus Olimpio, neppur nutrita in tenebre di ventre, ma germoglio quale nessun dea può generare».

A questo punto la dea Atena, che, secondo la religione della grecia antica post-omerica, nacque completamente formata dalla testa del padre Zeus, entra in scena e conferma l’affermazione che viene messa in bocca al dio Apollo post-omerico. Solo i padri sono genitori dei loro figli. «Madre non esiste, che mi abbia generato», afferma, e aggiunge, «e tutto ciò che è maschio, tranne le nozze, io approvo di tutto cuore: certo, io sono per il padre». E così, quando il coro – che qui impersonifica le Eumenidi, o Furie, le antiche figure legate alla religione della Grande Dea, che rappresentano l’antico ordine che scaturisce dalla Verità di Natura – esclama con orrore «Ahi, dèi nuovi, le leggi antiche calpestate e mi strappaste dalle mani!», Atena dà il suo voto decisivo. Oreste viene assolto da ogni colpa per l’omicidio della madre.

Ci si potrebbe chiedere: perché qualcuno dovrebbe cercare di negare il più potente e ovvio legame di parentela umano? Perché un brillante drammaturgo come Eschilo dovrebbe scrivere una trilogia drammatica su questo argomento? E come mai questa trilogia – che a quei tempi non era teatro come noi l’intendiamo, ma piuttosto un dramma rituale, come lo sono le Rappresentazioni Sistemiche, specificamente studiato per fare appello alle emozioni e utilizzato per scopi sacri o per ottenere obbedienza alle norme dominanti – veniva rappresentata per tutto il popolo di Atene, comprese le donne e gli schiavi, in importanti occasioni cerimoniali?

La tipica interpretazione degli studiosi che cercavano di rispondere all’interrogativo di quale fosse la funzione normativa dell’Orestea, era che la tragedia servisse a spiegare le origini dell’Areopago greco, il tribunale per gli omicidi. Probabilmente in questo tribunale, nuovo per il suo tempo, si otteneva giustizia mediante i più impersonali strumenti legali dello Stato, anziché tramite la vendetta di clan. Ma, come fa notare la sociologa Joan Rockwell, questa interpretazione non sfiora neanche la domanda essenziale: perché questo caso, che si vuole sia stato il primo omicidio mai giudicato da un tribunale greco, è l’omicidio di una madre da parte del suo stesso figlio. Ha quindi un significato molto importante e simbolico per quel periodo storico, in cui gli ultimi baluardi dell’antica religione della Grande Dea venivano sistematicamente cancellati, rimossi e fatti sparire sotto le sabbie del tempo. Né si pone la domanda basilare di come mai, in quella che dovrebbe essere una «lezione morale» per sostenere la giustizia amministrata dallo Stato, un figlio potesse essere assolto dall’omicidio per vendetta, premeditato, a sangue freddo, della madre, per di più adducendo l’argomento manifestamente assurdo che tra loro non intercorrevano rapporti di parentela.

Per capire quali norme l’Orestea esprima e affermi in realtà, dobbiamo considerare la trilogia nel suo complesso, Nella prima tragedia, Agamennone, la regina di Micene, Clitemnestra, fa in modo di vendicare lo spargimento di sangue della figlia. Veniamo a sapere che, mentre si recava a Troia, suo marito Agamennone la ingannò, facendosi raggiungere dalla loro figlia Ifigenìa, apparentemente per darla in sposa all’eroe Achille, in realtà per sacrificarla e procurare un vento propizio alla flotta restata in panne. Al ritorno di Agamennone dalla guerra di Troia, mentre il marito sta facendo il bagno rituale per purificarsi dai peccati commessi in guerra, Clitemnestra gli getta addosso una rete per immobilizzarlo e lo pugnala a morte. Essa fa chiaramente intendere che il suo gesto non è motivato da un dolore o da un astio personale, ma sal proprio ruolo sociale di capo clan, che deve vendicare lo spargimento del sangue di un congiunto. In breve, ella si comporta secondo le regole di una società matrilineare, in cui, come regina, ha il dovere di badare all’amministrazione della giustizia.

Nella seconda tragedia, Coefore, il figlio di Clitemnestra e Agamennone, Oreste, ritorna ad Argo sotto mentite spoglie. Entra nel palazzo della madre come ospite, ammazza Egisto, il suo nuovo marito, e dopo qualche esitazione, uccide la madre per vendicare l’omicidio del padre. La terza tragedia, Eumenidi, descrive il processo di Oreste nel santuario del dio Apollo a Delfi. Apprendiamo che le Eumenidi, in quanto rappresentanti dell’antico ordinamento, protettrici della società ed esecutrici della giustizia, stavano perseguitando Oreste. Tale compito era un fatto divino e nessuno si sarebbe mai sognato di andare contro alle Eumenidi, in quanto personificazione della giustizia collegata agli ordini famigliari, esse rappresentavano il lancinante rimorso che scaturiva dai fatti di sangue più efferati.
Esse vengono indicate con nomi diversi da vari autori: Erinni, Semnai o Potnie (“venerabili”), Manie (“folli”) e Ablabie (“senza colpa”).
Una giuria di dodici ateniesi, presieduta dalla dea Atena, doveva decidere la sua assoluzione o la sua morte. Ma siccome il loro voto è in assoluta parità, quello decisivo spetta ad Atena: Oreste viene assolto perché non ha versato sangue di consaguinei.

L’Orestea, come si è detto, viene rappresentata a cavallo tra la fine dell’età della Grecia arcaica e l’inizio dell’età classica, e rappresenta l’ultimo scontro tra culture patriarcali e matrifocali. Nei nostri termini, essa descrive e giustifica il passaggio dalle norme mutuali a quelle dominatore. Come scrive la Rockwell, la trilogia ci porta «da un totale consenso alla legittimità del caso di Clitemnestra, nella prima tragedia, a un punto in cui ci si dimentica di sua figlia, il suo spettro si eclissa, e il suo caso è inesistente, perché le donne non possiedono più i diritti e gli attributi che essa aveva rivendicato». Infatti «se una creatura potente come Clitemnestra, una regina, nonostante la provocazione che subisce con l’assassinio della figlia Ifigenìa, non ha il diritto di far sentire la sua voce, quale donna potrà averlo?».

Con questa opera, a tutte le donne viene impedito anche soltanto di contemplare l’idea di gesti di ribellione, inoltre il ruolo di Atena in questo dramma normativo, è un «capolavoro di diplomazia culturale»; nel corso di un mutamento istituzionale è importantissimo vedere un personaggio illustre della parte sconfitta (Atena è una divinità femminile) accettare il nuovo potere unicamente maschile. Se Atena, discendente diretta della Dea e divinità protettrice della città di Atene, si dichiara a favore della supremazia maschile, il passaggio a un dominio dell’uomo dovrà essere accettato da ogni donna ateniese. E lo stesso vale per il cambiamento da ciò che un tempo era un sistema di proprietà comunitario, o gestito da clan (in cui la discendenza era matrilineare), a un sistema di possesso privato della proprietà e delle donne, considerate anch’esse una “proprietà”, da parte dell’uomo.

Nell’Orestea tutti gli ateniesi potevano vedere come persono le antiche Erinni, o Parche, alla fine venissero fatte desistere dall’autore. Si era istituito l’ordinamento a dominio maschile, le nuove norme avevano sostituito le vecchie e il loro furore viene raccontato come qualcosa di poco conto, che può essere ridotto a nulla. Ancora nel racconto, le Erinni vengono fatte retrocedere sotto l’Acropoli di Atene, “persuase” da Atena dopo che ha dato il voto decisivo, avendo ribadito l’argomento (insostenibile davanti agli occhi delle Erinni) che uccidere la madre non è uno spargimento di sangue famigliare. Raccontate come divinità sottomesse alla decisione del tribunale, le Erinni “accettano” di evocare i loro antichi poteri, i poteri della Dea, al servizio di Atena e “promettono” di aiutare a proteggere «questa città su cui regnano Zeus onnipotende e Ares» (Ares è, ovviamente, il dio della guerra).
Il coro riassume bene la reale posizione delle Eumenidi: «Io patire quest’onta! Io, mente del passato, venire relegata sotto terra, reietta, qual sudiciume!»

L’Orestea, quindi, è stata utilizzata per influenzare e alterare l’idea di realtà della gente. E’ interessante notare che ciò fosse ancora necessario nel V secolo a.C., quasi mille anni dopo che gli Achei presero il controllo di Atene. Sebbene ai tempi di Eschilo questa mente del passato, che serba i ricordi evanescenti di un’epoca lontana, non fosse ancora stata del tutto scacciata, era ormai possibile in una grande occasione cerimoniale, proclamare pubblicamente che i torti dell’uomo contro la donna, persino l’uccisione di una figlia da parte del padre, dovevano semplicemente venire dimenticati. La mente della gente si era già trasformata così profondamente che ormai si poteva affermare che, in realtà, madre e figlio non sono parenti: togliendo alla matrilinearità quel fondamento reale che, da quel momento, solo la patrlinearità possiede.

Questo punto di vista verrà tenuto fino al XIX secolo d.C., in cui la “scienza ufficiale” occidentale continuava a “spiegare” il dominio maschile, affermando che le donne non sono nient’altro che “incubatrici” per lo sperma maschile, come sosteneva ad esempio il noto scienziato Herbert Spencer. In virtù della prova scientifica che un figlio eredita un ugual numero di geni da ciascuno dei due genitori, questa idea della mancanza di consanguineità tra madre e figli non ci viene più insegnata nelle scuole e nelle università. Ma ancora oggi i nostri più importanti leader religiosi, nonché molti scienziati, continuano a raccontarci che le donne sono creature messe sulla Terra da Dio, o dalla natura, per dare figli agli uomini, preferibilmente maschi.

Uno strascico di questo lo ritroviamo ancora nei cognomi, che continuano a identificare la sola parentela con il padre e non anche con la madre. Per noi, dopo migliaia di anni di incessante indottrinamento, questa è semplicemente la realtà, lo stato delle cose. Ma per la mente che venne scacciata e relegata sotto terra, la mente che adorava la Dea come Suprema Creatrice di ogni forma di vita, e come Madre sia dell’umanità che di piante, animali e pietre, la realtà dev’essere stata tutt’altra cosa. La progressiva riduzione delle donne a proprietà privata dell’uomo, difficilmente sarebbe sembrata «naturale» e altrettanto inconcepibile e blasfema sarebbe stata l’idea che le Forze supreme che governano l’universo dovessero venire personificate da divinità armate e vendicative, che ordinano all’uomo atti come l’omicidio, il saccheggio e la rapina.

Insomma, questa mente antica era assolutamente inadatta a funzionare col nuovo sistema dominatore. Per un certo periodo forse si riuscì a tenerla a bada con la forza bruta e le minacce. Ma, a lungo termine, avrebbe funzionato solo una completa trasformazione del modo in cui la gente percepiva e analizzava la realtà.

In biologia esiste una teoria di come si trasmettano le informazioni da cellula a cellula attraverso le ère geologiche. Le cellule portano nel loro codice genetico quella che Vilmos Csanyi chiama un’informazione replicativa. Questo processo si attua a tutti i livelli: molecolare, biologico e sociale. Infatti ogni sistema ha la propria informazione replicativa, che forma, espande e tiene assieme i sistemi.
La replicazione delle idee è essenziale per formare e poi per mantenere i sistemi sociali. Quindi, per sostituire un’organizzazione sociale mutuale con una basata sul dominio con la forza, si devono attuare cambiamenti fondamentali dell’informazione replicativa: ci vorrà un codice replicativo totalmente diverso da sostituire a quello preesistente.

E’ impossibile descrivere un processo che è continuato per millenni, e perdura ancora nella nostra epoca: il processo per cui la mente umana, a volte brutalmente e a volte in modo sottile, a volte deliberatamente e a volte inconsapevolmente, fu rimodellata nel nuovo tipo di mente richiesta da questo mutamento drastico e capillare della nostra evoluzione culturale. Fu un processo che comportò un’enorme distruzione materiale. Un esempio per tutti sono le distruzioni di Templi antichi, Boschi sacri e Idoli pagani da parte delle nuove religioni monoteistiche.

Le armi più potenti erano le storie sacre, e tramite la loro distorsione dalle versioni originali, si inculcava nelle menti delle persone la paura di divinità terribili, remote e imperscrutabili. I nuovi sacerdoti, che diffondevano il nuovo credo patriarcale, erano spesso spalleggiati da eserciti, tribunali e boia, e un’eresia era spesso punita con terribili torture e con la morte.

Nel 1948 George Orwell aveva previsto un’epoca in cui un «ministro della verità» avrebbe rimodellato ogni idea e riscritto tutti i libri, per adattarli alle esigenze degli uomini al potere. Ma la cosa tremenda è che non si tratta di un’eventualità futura. E’ già successo molto tempo fa, quasi ovunque nel mondo antico.

(Questo articolo è tratto dal famoso libro di Riane Eisler Il calice e la spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad oggi.)

Libri consigliati:

Il calice e la spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad oggi, di Riane Eisler
Quando le donne suonavano i tamburi, di Layne Redmond
Amazzoni. Vita e leggende delle donne guerriere nel mondo antico, di Adrienne Mayor.
Donne guerriere. Le sciamane delle vie della seta, di Jeannine Davis Kimball.
Mitologia Occidentale. Le Maschere di Dio, di Joseph Campbell.
Oscure madri splendenti. Le radici del sacro e delle religioni, di Luciana Percovich.
In the Dark Places of Wisdom, di Peter Kingsley (è valida solo l’edizione in Inglese).

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