Un mondo triste senza le Erbe curative

(tratto dal libro “La Divina Artemisia” di Anna Lord, Libreria Salvemini Firenze)

Gli anni del Rinascimento e della scoperta dell’America rappresentano a tutti gli effetti uno dei più grandi reset della storia conosciuta.

In quei secoli, ebbe inizio la caccia alle streghe su larga scala e molte donne impararono a chinare il capo, a starsene quiete al proprio posto, a evitare di andare alla ricerca di piante nella foresta e di sbandierare pubblicamente la conoscenza delle erbe curative. Anche i pagani e gli idolatri del nuovo mondo, insieme agli schiavi africani e alle popolazioni asiatiche, capirono presto chi erano i loro nuovi padroni.

La rivoluzione industriale coincise più o meno con l’ultimo rogo ufficiale di una strega (1756 in Baviera), iniziati nel XII secolo. E’ interessante notare che la guerra contro il sapere delle donne, durata per secoli, ha fatto sì che si giungesse al termine di una società fatta a misura dell’essere umano, che in precedenza si era basata sull’agricoltura, sul nomadismo, sui manufatti artigianali e sulla pastorizia. Un delicato equilibrio, creatosi tra piccole società stanziali e popoli nomadi, stava per essere spazzato via dal fuoco dell’industria, dalla schiavitù moderna di massa e da armi sempre più letali. Gradualmente, persone di ogni parte del mondo furono strappate dalle loro antiche dimore circondate dalla natura per essere trasferite con la forza nelle città industriali, o all’estero, nelle colonie, per vivere e lavorare in condizioni spaventose.

Milioni di persone non ebbero più libero accesso all’acqua potabile, all’aria pulita e ai frutti che venivano prodotti naturalmente dalla Madre Terra.

Ufficialmente risulta che tutti i flagelli, le pandemie e le epidemie sono causate da germi, virus, batteri o parassiti, ed è questo il motivo per cui ci hanno per anni convinto del fatto che abbiamo bisogno di aziende farmaceutiche.

Ma quali sono gli altri fattori che hanno contribuito alla propagazione delle epidemie su larga scala, oltre a quelli ormai ovvi, ovvero gli orrori che accompagnarono la colonizzazione e poi la rivoluzione industriale. Numerosi ricercatori, storici, accademici e scienziati ritengono oggi che l’introduzione e il consumo di alcuni alimenti, bevande e farmaci, che si diffusero estremamente in fretta, crearono le condizioni ideali per dare origine ad epidemie su larga scala. Per non parlare delle guerre.

Esistono idee contrastanti riguardo ai flagelli e alle pandemie, anche se non sono molto diffuse nel mondo accademico. Cominciamo con la grande peste di Londra del 1665, ma prima di poterne parlare, è opportuna una disamina delle vicissitudini storiche che condussero a questa ecatombe. Sugar Blues (1975) è stato un bestseller internazionale: l’autore William Dufty, compie un viaggio a ritroso nel tempo e documenta gli effetti devastanti di quello che lui chiama “veleno bianco” sulle ignare popolazioni della Gran Bretagna, del Nord America e di altri Paesi del mondo.

Secondo Dufty, «l’introduzione dello zucchero bianco nella dieta umana è stata la più grande minaccia alla salute di tutta la nostra storia».

Giovanni Stradano, L’arte di preparare lo zucchero vi verrà insegnata in molti modi dall’immagine che vederte (traduzione dal latino), 1596

L’inizio del consumo di zucchero su larga scala risale all’epoca della colonizzazione e all’avvio della tratta atlantica degli schiavi fin dal XV secolo. La coltivazione e la lavorazione della canna da zucchero richiedevano molta manodopera e lo rendevano un bene di lusso; quindi, sebbene lo zucchero fosse conosciuto da sempre in molte parti del mondo, era così costoso da produrre che veniva utilizzato o come medicinale o come alimento, estremamente caro, riservato solo alle élite dell’epoca.

Le piantagioni e le fabbriche di canna da zucchero furono introdotte per la prima volta a Madeira e nelle Isole Canarie nel XV secolo, dove si iniziò ad impiegare manodopera schiava, per lo più di origine africana. Il vero salto di qualità, sia per la coltivazione della canna da zucchero sia per il consumo dello zucchero bianco come bene di massa, coincise con il primo viaggio di Cristoforo Colombo nel “Nuovo Mondo”.

Non appena il Papa autorizzò la riduzione in schiavitù delle popolaizioni indigene, le piantagioni si moltiplicarono rapidamente nell’America del Sud e del Nord, nelle isole caraibiche, in Giamaica, Santo Domingo, Haiti, Cuba, Porto Rico e Sudafrica.

Un espediente interessante e poco conosciuto del processo di sbiancamento dello zucchero è l’uso di ossa di animali. I produttori di zucchero utilizzano il carbone d’ossa nella lavorazione dello zucchero, ottenuto riscaldando le ossa dei bovini a temperature estremamente elevate: le ossa carbonizzate fungevano da filtro decolorante per la canna da zucchero per ottenere il colore bianco tanto desiderato. Ma non è tutto. Durante l’apice del commercio dello zucchero e nel processo di sbiancatura dello stesso, le ossa carbonizzate degli schiavi morti venivano comunemente usate al posto di quelle animali; una pratica, quindi, che rese questa produzione commerciale ancora più sinistra a livello mondiale.

Interi imperi sono stati costruiti e si sono mantenuti nel tempo sul commercio dello zucchero, dando origine a enormi ricchezze per la nobiltà europea e per i banchieri. Per avere un’idea delle dimensioni di tale commercio basti solo l’esempio della Gran Bretagna: nel 1662 venivano importati dalle colonie indicativamente sette-otto milioni di chili di zucchero all’anno; nel 1700 l’importazione era cresciuta a dieci milioni di chili all’anno e nel 1800 addirittura settanta milioni di chili raggiungevano annualmente le coste delle isole britanniche.

Come ormai sappiamo, l’effetto del consumo di massa dello zucchero bianco nelle sue varie forme (come additivo alimentare e nelle bevande di ogni tipo) ha avuto un impatto devastante sulla salute umana in generale e coincide con le date delle pestilenze ed epidemie. Quando nel 1665 scoppiò la grande peste a Londra, solo nel primo mese (settembre) morirono oltre 30.000 persone, mentre coloro che vivevano nelle aree rurali risultarono molto meno suscettibili alla malattia.

Un noto medico dell’epoca, Thomas Willis, il cui studio si trovava in St. Martins Lane a Londra, dedicò il suo tempo e i suoi sforzi a comprendere meglio le cause della peste e a migliorarne la prevenzione per il futuro. Bisogna tenere presente che gli introiti per la Corona e lo Stato derivanti dalla tassazione dello zucchero erano enormi all’epoca, per cui era piuttosto pericoloso anche solo suggerire che potesse essere dannoso per la salute. Detto questo, il dottor Willis, insieme a molti altri colleghi, aveva notato da tempo che l’urina dei suoi pazienti più facoltosi aveva un odore insolitamente dolce e un colore anomalo. In una pubblicazione del 1674, redatta in latino, attribuì un nome a questo fenomeno: «diabete mellito». Il significato letterale di queste due parole di derivazione greco-latina è “sostanza dolce come il miele che passa attraverso [il corpo]”. Sarebbe stato forse più preciso chiamare questa nuova malattia “poliuria da saccarosio” (infiammazione causata dal consumo eccessivo di zucchero). In altre parole Willis giunse a ritenere che l’eccessivo consumo di zucchero bianco avesse indebolito la popolazione londinese, rendendo i loro organismi molto meno capaci di combattere efficacemente qualsiasi tipo di malattia.

Willis si rese anche conto che un’altra terribile malattia endemica dell’epoca, lo scorbuto, era agevolata dall’aumentato consumo di zucchero bianco e rum, nonché dalla diminuzione di quello di frutta e verdura fresche. In questo caso però i malati provenivano dai segmenti più poveri della società, in particolare i marinai, che trascorrevano molto tempo in mare. Era quasi come se le grida degli schiavi e delle popolazioni indigene del nuovo mondo si fossero alzate a perseguitare le razze bianche e a punirle con terribili malanni per aver distrutto la loro casa.

[…]

Che dire infine della tremenda pandemia influenzale del 1918 nota come “la spagnola”. In realtà avrebbe dovuto chiamarsi influenza “americana”, ma l’attributo derivò dal fatto che la stampa spagnola non era soggetta a censura in quegli anni, non essendo coinvolta nella prima guerra mondiale. Questo flagello mondiale scoppiò, ancora una volta, durante un periodo di carestia, di conflitto e di guerra ed ebbe origine nelle basi militari di Fort Riley e Camp Funston nello Stato del Kansas, negli Stati Uniti. In seguito si diffuse a macchia d’olio in molte parti dell’America e subito dopo in tutto il mondo, con le conseguenze che tutti conosciamo. La causa esatta dell’ “influenza” era sconosciuta, ma diversi ricercatori moderni attribuiscono l’epidemia a una sperimentazione di massa di nuovi vaccini … una situazione sfuggita di mano.

Per qualche strano motivo, quando vengono fatti esperimenti sbagliati da uomini di potere, dovremmo star zitti e guardare da un’altra parte: dopo tutto, sono esperimenti fatti in nome della scienza, o della guerra, o dell’economia. In rete ci sono opinioni contrastanti su questa storia e ufficialmente c’è la tendenza a liquidare il legame tra le vaccinazioni e le epidemie influenzali come «teorie cospirative senza fondamento» o «notizie fasulle».

La Madre Terra ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno. In qualunque parte del globo viviamo, abbiamo fiumi e laghi di acqua potabile, amene cascate, vaste distese oceaniche e spiagge magnifiche. Ci è stato fatto il dono della natura selvaggia con alberi possenti, fiori bellissimi e uccelli multicolori. Possiamo ammirare catene montuose e canyon, colline e pianure, Chi non trova beneficio nell’anima guardando il cielo, con i suoi colori cangianti e le nuvole, le dolci gocce di pioggia, le albe e i tramonti? Abbiamo già più di quanto possiamo desiderare e l’unica barriera che ci separa dal ritorno all’Eden è la paura.

Chi sono i più vili e i più poveri tra noi? Sono le persone che temono i loro simili, che temoni gli animali, gli uccelli e il mondo della natura, che temono l’aria che respirano e l’acqua che bevono, che temono i parassiti, i microscopici batteri e i sedicenti “virus”, dei quali finora si sono isolate soltanto parziali sequenze. Secondo l’eredità steineriana, infatti, i “virus” sono soltanto cellule avvelenate che cercano di ripulirsi creando detriti e scorie. Di solito sono i più facoltosi, quelli che hanno ingenti fortune accumulate in conti bancari esteri, quelli che vivono circondati da alte recinzioni con guardie del corpo e telecamere di sicurezza. Tra di noi ci sono individui malati che non capiscono il concetto di condivisione. E questo cosa racconta di noi? Perché ci siamo lasciati governare da uomini e donne in un evidente stato di follia? Come si è potuti arrivare a questo?

[…]

Ecco ciò che accade, quando il tocco curativo di donne e uomini saggi viene eliminato ed eradicato quasi completamente. Ecco ciò che accade, quando nessuno sa dove trovare le piante sacre e come utilizzarle. Ecco ciò che accade, quando la scuola e le informazioni sono tutte standardizzate e nessuno passeggia più nei prati e nei boschi. Ecco ciò che accade, quando la letteratura sulla medicina naturale viene censurata e quando l’avidità diventa la nuova norma.

Non è tutto perduto. Esiste un sottile equilibrio tra il bene e il male, tra la condivisione e l’avidità, nulla dura per sempre. La Dea tornerà. Abbiamo bisogno di Lei, ora più che mai.

(tratto dal libro “La Divina Artemisia” di Anna Lord, Libreria Salvemini Firenze)

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