
Ocean of Love Sri Mata Amritanandamayi Devi
La Comunità è una parola, che ad ascoltarla bene dischiude un mondo. Sembra nota a tutti, ma così non è. Non è più così da molto tempo.
La maggior parte delle persone che vivono in Occidente vive in un mondo in cui è importante “essere accettati”, questo problema fonda le sue origini nel sentimento di inclusione nella società cui si appartiene per nascita, ed esiste nelle società che vivono prettamente nei mondi mentali, dimenticando il Cuore e il Corpo. Un individuo esiste in una società nel momento in cui vi nasce dentro. Punto. Dovrebbe essere naturalmente accettato e incluso al suo interno, nonostante le sue scelte personali lo possano portare in contrasto con quella società; dovrebbe essere una cosa ovvia, ma ovvio non è.
Tutti noi, fin da piccoli, abbiamo sentito la necessità di “modellarci” per adattarci a delle richieste esterne sulla nostra personalità, pena l’esclusione dalla comunità in cui siamo nati e di cui siamo parte per diritto di Natura. E’ così che abbiamo creato una personalità “altra” dalle nostre vere inclinazione naturali, che ce ne rendiamo conto o meno, siamo tutti dentro questo grande bluff.
Allora cominciamo dal significato della parola “comunità” e propongo quello che si trova sul sito “Una parola al giorno“:
SIGNIFICATO Gruppo di persone unite da rapporti e vincoli tali da formare un corpo organico; corpo morale.
ETIMOLOGIA dal latino commùnitas ‘società, partecipazione’, derivato di commùnis ‘che compie il suo incarico insieme’, derivato di munus ‘obbligo’, ma anche ‘dono’, col prefisso cum-.
Con questa parola tocchiamo corde profonde del nostro modo di pensare — tanto che spesso la impacchettiamo in immagini e locuzioni stereotipate, o la mascheriamo in un anglismo, per renderla più innocua: perché tenerne presente il senso può perfino spaventare. Il latino communis genera una quantità di termini fondamentali, dal comune al comunicare, ma il suo significato originario non è quello che ci aspetteremmo. Il munus è l’obbligo, la funzione: il communis, nei suoi minimi termini descrive il carattere di chi o ciò che svolge il suo incarico in una situazione condivisa, insieme agli altri.
È da questo substrato che la communitas emerge quindi come rapporto di comunanza civile e socievole, legame di partecipazione e gruppo insieme. Emerge nel traguardo di un onere condiviso, splendidamente ambiguo: perché il munus è l’obbligo ma anche (e secondo alcuni è il significato più antico) il dono, il favore, l’offerta in voto.
Il termine ‘comunità’ in italiano si è preso gli orizzonti che ha voluto: è stato il comune, il municipio medievale, è stato un corpo morale, spontaneo o istituito, sempre organico, che ha compreso dalle organizzazioni internazionali ai gruppi che seguono una vita e una regola di vita condivisa, anche religiosa. E spesso ci ritroviamo a parlare di comunità in maniera automatica, più per adesione a un modo di dire che per volontà di caratterizzare il gruppo: comunità terapeutiche, comunità monastiche, comunità di immigrati, comunità scolastiche, comunità internazionali. Ma non è un caso se queste le chiamiamo ‘comunità’.
È un termine moralmente denso, con dei connotati forti: senza i tratti negativi maturati dalla setta, la comunità racconta un insieme distinto, che insieme si raccoglie su un valore, su un onere, su un dono condiviso. Ciò lo rende particolarmente difficile da usare con presenza — e quando è usato in maniera significativa, si nota.
Perché si spera che sarà chiamando ‘comunità’ il gruppo che si darà corpo a un senso di appartenenza, e si spera che dicendola community non saremo chiamati a discernere se è davvero una comunità o no, e si cercherà di dare importanza al discorso ragionando di comunità. Ma quando guardandoci in un gruppo, stretto e totalizzante oppure più distante e specializzato, ci rendiamo conto di come ogni nostra singolarità abbia una cifra comune e organizzata sia volta in una stessa direzione, generale o particolare, ecco che emerge la comunità. Una parola delle più preziose.
La Comunità è il contenitore che ci definisce come persone, come identità sociali facenti parte di un certo mondo. Perché questo è così importante? Porsi questa domanda è la dimostrazione che abbiamo perduto la strada di Casa. In modo naturale, la risposta dovrebbe risalire alla coscienza di ognuno di noi. Se non tengo conto della Comunità Umana a cui appartengo, la vita diventa un vagare perpetuo e insensato, tra un’esperienza e l’altra, senza trovare un senso e una Gioia interna in ciò che faccio.
Se abbiamo un’idea di cosa dovrebbe essere la Comunità Umana, ma non ci sentiamo felici, ecco, questo vuol dire che ancora l’obiettivo non è stato centrato, che stiamo ancora pensando di vivere al meglio, ma nella pratica, nella Realtà, non si sta vivendo ma solo pensando.
Per ritornare a ri-conoscere cosa è la Comunità Umana e la sua fondamentale e insostituibile importanza nella vita di ogni individuo, non è possibile leggere un libro o ascoltare 10 video su youtube, bisogna farne esperienza diretta. Questo è possibile solo nelle esperienze di Gruppo che offrono realmente tale possibilità.
Una di queste è il Lavoro con i Cerchi di Gruppo di Costellazioni Familiari Sistemiche a rilascio somatico che propongo, in cui il Lavoro di Consapevolezza si basa sull’ascolto profondo del Corpo e sul rallentare il ritmo della vita frenetica che conduciamo, per ritrovare un nuovo modo di sentire, che è quello Naturale. In questi Lavori è possibile sentire l’armonia che ci collega tutti insieme e che, nell’ascolto consapevole, ci permette di guarire le nostre ferite, se solo ce ne diamo la reale possibilità.
Nella mia esperienza, solo nei Lavori di Gruppo fatti in un certo modo si può riuscire ad andare oltre le corazze e le false-idee che ci portiamo dietro, e rispecchiarci negli altri per ritrovare finalmente il nostro vero volto, quel volto che cerchiamo da tutta la vita! Solo allora il senso della Comunità Umana si palesa, qualcosa nel Cuore si spacca, il guscio che lo costringeva si rompe, e un nuovo sentire fluisce e accade qualcosa che prima non c’era, ma che riconosciamo immediatamente, come un’antica sensazione che avevamo dimenticato.
Questo è il primo di tanti passi che ci portano a ri-Cordare (far risuonare nel Cuore) ciò che siamo veramente e che avevamo dimenticato. E che poi abbiamo dimenticato di aver dimenticato. Questa è la penosa condizione in cui ci troviamo oggi. Non ci ri-cordiamo più nemmeno di essere tristi per aver perduto qualcosa, cioè non sentiamo più quel dolore.. ma la nostra Anima lo ricorda benissimo. E per questo non riusciamo a scuoterci di dosso quell’inquietudine e quel sentore di “qualcosa che non quadra”.
