(frammenti tratti dal famoso libro “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés)
Cantare significa usare la voce dell’anima. Significa dire nel respiro la verità del proprio potere e del proprio bisogno. Si fa discendendo nel più profondo umore dell’amore grande e del sentimento, finché il desiderio di una relazione con l’io selvaggio straripa, fino a esprimere l’anima.

Non possiamo commettere l’errore di cercar di scoprire questo grande sentimento di amore da un amante, perché questa fatica delle donne di trovare e cantare l’inno della creazione è un lavoro solitario, un lavoro che si svolge nel deserto della psiche (anima). Si direbbe che il suo splendore, la sua voce, la sua fragranza, hanno il fine di farci levare lo sguardo dalla merda che abbiamo sulla coda, per viaggiare occasionalmente in compagnia delle stelle.
Nel posto della Lupa, il corpo fisico è, come scrive il poeta Tony Moffeir, “un animale luminoso”, e il sistema immunitario pare rafforzato o indebolito dal pensiero consapevole. Nel posto della Lupa, gli spiriti si manifestano come personaggi, e “La Voce Mitologica” della psiche parla come poeta e come oracolo. Le cose di valore psichico, se morte, possono essere resuscitate. Inoltre, il materiale di base di tutte le storie esistenti nel mondo cominciò con l’esperienza di qualcuno qui, nell’inesplicabile territorio psichico, e con il tentativo di qualcuno di raccontare quanto gli è accaduto.
Ci sono vari nomi per questo luogo tra i mondi. Nella memoria umana questo luogo, che lo si chiami Nod, la dimora degli Esseri di Bruma o la spaccatura tra i mondi, è il luogo delle visitazioni, dei miracoli, delle fantasie, delle ispirazioni e delle guarigioni. Sebbene il luogo trasmetta grande ricchezza psichica, va avvicinato con una certa preparazione, poiché si può cedere alla tentazione di naufragare gioiosamente nell’estasi del proprio tempo qual è là. A paragone la realtà consensuale può apparire meno eccitante. In tal senso, questi strati più profondi della psiche diventano una trappola dell’estasi da cui si torna vacillanti, con idee vaghe e vaghi presentimenti.
Non va inteso così. Si dovebbe ritornare completamente purificati e immersi in un’acqua vivificante e informante, qualcosa che imprime sulla nostra carne il profumo del sacro. Ogni donna ha potenzialmente accesso al “Rio abajo Rio”, il fiume che scorre sotto al fiume. Vi arriva con la forza della meditazione profonda, la danza, la preghiera, la scrittura, la pittura, il canto, il suono del tamburo, l’immaginazione attiva o qualsiasi attività richieda un’intensa consapevolezza alterata. La donna arriva in questo mondo-tra-i-mondi con il desiderio struggente, e cercando qualcosa che può vedere appena con la coda dell’occhio. Vi arriva con atti profondamente creativi, con la solitudine intenzionale, con la pratica delle arti.
E anche con queste pratiche elaborate, molto di quanto accade in questo mondo ineffabile resta per sempre misterioso, perché spezza le leggi fisiche e razionali quali noi le conosciamo. Ci vuole grande cura per poter entrare in questo stato psichico.
Colei che ricrea da ciò che è morto è sempre un archetipo bifronte. La Madre della Creazione è sempre anche la Nonna Morte, e viceversa. Per via di questa duplice natura, o duplice compito, il grande lavoro che ci aspetta è quello di imparare a comprendere quanto dentro di noi deve vivere e che cosa deve morire. Il nostro lavoro consiste nell’apprendere il ritmo di entrambe le cose, consentire a ciò che deve morire di morire, e a ciò che deve vivere di vivere.
Questa è la conoscenza da acquisire nell’intimità con la Donna Selvaggia. Quando “La Loba” canta, lo fa dalla conoscenza “de los ovarios”, una conoscenza che viene dalle profondità del corpo, dalla profondità della mente, dalla profondità dell’anima. I simboli del seme e delle ossa sono molto simili. Se abbiamo la radice, la base, la parte originaria, se abbiamo il grano da semina, a qualunque rovina si può porre riparo, le devastazioni possono essere riseminate, i campi possono riposare, si può immergere un duro seme capace di ammorbidirsi, di aprirsi e fiorire.
Avere il seme significa avere la chiave della vita. Essere con i cicli del seme significa danzare con la vita, danzare con la morte, danzare di nuovo nella vita. La Donna Selvaggia è la Madre della Vita e della Morte nella sua forma più antica. Poiché segue questi cicli costanti, la chiamo Madre della Vita/Morte/Vita. Se qualcosa va perduto, è a lei che dobbiamo appellarci, a lei dobbiamo parlare, lei dobbiamo ascoltare.
Pertanto quando qualcosa va perduto, dobbiamo andare dalla vecchia che vive sempre nelle pelvi fuorimano. Vive là, metà dentro e metà fuori dal fuoco creativo. E’ un posto perfetto in cui vivere per le donne, proprio accanto ai fertili “huevos”, ai loro semi femminili. Là le idee più minuscole come quelle di più ampio respiro aspettano che la nostra mente e le nostre azioni le rendano manifeste.
Va percorso l’intero processo per portare la donna ai suoi sensi istintuali selvaggi nella loro pienezza. Dentro di noi c’è la vecchia che raccoglie le ossa. Dentro di noi ci sono le ossa per cambiare noi stesse e il nostro mondo. Dentro di noi c’è il soffio e le nostre verità e i nostri desideri: insieme sono l’inno della creazione che abbiamo tanto desiderato cantare.
Restiamo esseri umani, e anche nella donna umana si trova l’io animale istintuale. Non è un romantico personaggio da fumetti. Ha denti veri, un ringhio vero, un’immensa generosità, un udito ineguagliabile, artigli affilati, seni generosi e ricoperti di pelo. Questo io donna-lupa deve avere la libertà di muoversi, di parlare, di essere in collera, e di creare. Questo io è durevole, resiliente, e possiede grande intuito. E’ un io conoscibile nei rapporti spirituali con la morte e con la nascita.
“La Loba” è la custode dell’anima. Senza di lei, perdiamo la nostra forma. Senza il suo nutrimento, gli esseri umani sono senz’anima, o sono anime dannate. Dà forma alla casa-anima e a mano ingrandisce la casa. E’ colei che porta il vecchio grembiule. Quella col vestito più lungo davanti che dietro. E’ la fattrice dell’anima, l’allevatrice di lupi, la custode delle cose selvagge.
Che tu sia una lupa nera, una grigia settentrionale, una rossa meridionale o una bianca artica, nell’immaginario sei la purissima creatura istintuale. Se alcuni preferiscono che ti comporti bene e non ti arrampichi sui mobili per gioco o ti butti sulle persone per accoglierle festosamente, tu fallo lo stesso. Qualcuno si allontanerà, timoroso o disgustato. Però il tuo amante amerà questo tuo nuovo aspetto, se è quello giusto per te.
Tutto quello che facciamo nella vita, lo facciamo per ritrovare l’ordine psichico (psyche = anima). E’ l’opera di ricomposizione delle ossa. Poi dobbiamo sedere accanto al fuoco e pensare quale canzone canteremo sulle ossa raccolte, quale inno della creazione, quale inno della ricreazione. E le verità che diciamo faranno la canzone.
La Voce Mitologica della psiche profonda parla come poeta e come oracolo. Ecco alcune buone domande da porsi prima di decidere quale canzone è la propria vera canzone:
- Che cos’è accaduto alla voce della mia anima?
- Quali sono le ossa sepolte della mia vita?
- In che condizioni si trova la mia relazione con l’io istintuale?
- Quand’è stata l’ultima volta che ho corso libera?
- Come posso far sì che la vita torni a essere viva?
- Dov’è andata “La Loba”?
Molto spesso la donna sente di vivere in uno spazio vuoto in cui c’è forse soltanto un cactus con un bel fiore rosso vivo, e poi, in ogni direzione, cinquecento chilometri di deserto. Ma per la donna che si spingerà a cinquecento e uno chilometri c’è qualcosa in più. Una bella casetta. Una vecchia casa. Ce vi aspetta. Certe donne non vogliono trovarsi nel deserto psichico. Ne detestano la fragilità, la sparutezza. Continuano a cercare di mettere in moto un vecchio macinino arrugginito per raggiungere una fantasticata città rilucente della psiche. Ma restano deluse, perché il lussureggiante e il selvaggio non sono qui. Sono nel mondo dello spirito, il mondo tra i mondi, il “Rio abajo Rio”.
Non fate sciocchezze. Tornate indietro e fermatevi accanto a quell’unico fiore rosso, e cercate di percorrere quell’ultimo faticoso chilometro. Bussate alla vecchia porta scolorita dalle intemperie. Arrampicatevi fino alla caverna. Strisciate attraverso la finestra. Setacciate il deserto e vedete un po’ che cosa trovate. E’ l’unico lavoro che “dobbiamo” fare.
(frammenti tratti dal famoso libro “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés)